Ottica sistemica, psicoterapia e psicofarmacologia
L’ottica sistemica mi ha insegnato tantissime cose e di un paio ne parlo volentieri. Per prima cosa mi ha fatto sentire di essere parte del tutto.
La seconda a non essere troppo fazioso e radicale: credo fermamente che questa ottica possa insegnare ad evitare dogmatismi e fondamentalismi.
Come sappiamo il rapporto tra psicoterapia e psicofarmacologia pone in essere l’antica questione cartesiana, cioè la separazione tra psiche e soma, tra mente e materia, tra relazione e biologia, che ha “ossessionato” l’era moderna. Ho la netta sensazione che tutti noi siamo stati schierati o da una parte o dall’altra. Io, sin dall’inizio della mia professione e per lungo tempo, non posso nascondere di avere avuto a cuore soprattutto la psiche. Adesso non sento più di essere partigiano come prima, anche se preferisco la psicoterapia perché è quella che conosco meglio ed è quella che mi piace di più.
Ricordo le innumerevoli discussioni fatte all’università sulla validità dei farmaci, sull’inaffidabilità della psicoterapia, sulle accuse di scientismo e di biologismo da parte di chi era per la psicofarmacologia e di psicologismo da parte di chi enfatizzava la psicoterapia.
Credo, tuttavia, che questi fanatismi siano ancora presenti anche se, forse, in modo meno plateale. Per quanto mi riguarda devo riconoscere di essere debitore all’ottica sistemica per avermi consentito di non restare nel dogma degli “psicologisti”. Essa, infatti, mi ha consentito di comprendere che mente e materia, psiche e soma non sono categorie da contrapporre ma rappresentano semplicemente aspetti diversi dello stesso fenomeno della vita. Nel tempo comunque mi vado convincendo che questo nuovo modo di pensare fornisca una prima cornice scientifica per superare l’antica questione cartesiana.
Durante tutta la storia della scienza e della filosofia occidentale c’è sempre stata una netta contrapposizione fra lo studio della struttura (il soma) e quello dello schema (la psiche). Lo studio della struttura iniziò nel secondo secolo avanti Cristo con Talete, Parmenide ed altri che si chiedevano: di cosa è fatta la realtà ultima? Come sapete pensarono ai quattro elementi, acqua, aria, fuoco e terra. Nei tempi moderni, i nostri scienziati sono arrivati alle particelle sub-atomiche della fisica quantistica.
Comunque sia, dobbiamo anche dire che durante tutta la storia della filosofia e delle scienze l’altro tipo di studio, quello dello schema o meglio dei rapporti e delle configurazioni di rapporti, ovvero del disegno che sta dietro le cose, è sempre stato presente. Lo iniziarono i pitagorici e lo proseguirono gli alchimisti ed i poeti romantici e, attualmente, è riemerso con il pensiero sistemico in modo del tutto peculiare. L’ottica sistemica, infatti, per la prima volta, mette insieme schema e struttura attraverso quel complesso processo che chiamiamo “mente”.
Molti scienziati hanno formulato ipotesi circa l’ottica sistemica partendo dalle loro specifiche discipline. Per fare un esempio per tutti di questo nuovo modo di pensare vorrei riferirmi a Ilya Prigogine. Noi sappiamo che i suoi studi sulle strutture dissipative, intese come strutture lontane dall’equilibrio, descrivono qualsiasi sistema vivente come una organizzazione chiusa che per mantenere la sua stabilità dissipa e trae energia dall’ambiente circostante. In buona sostanza questo significa che i sistemi viventi, pur essendo organizzazioni chiuse sul piano dello schema, risultano aperti su quello strutturale. Così lo schema attraverso cui viene modellato un dato organismo materiale resterebbe un sistema chiuso, mentre l’organismo materiale risulterebbe aperto, ossia in
grado di comunicare con l’ambiente esterno, per rinnovare continuamente le sostanze di cui è composto. La mente, infine, sarebbe il complesso processo che consente di mantenere stabile quella particolare forma vivente secondo le indicazioni specifiche di quel determinato schema. Prigogine esemplifica questo procedimento con l’immagine del vortice che si forma nella vasca da bagno quando l’acqua fluisce attraverso lo scarico. Pur trattandosi di una struttura semplice e non vivente l’esempio del mulinello d’acqua rende bene l’idea: la forma ad imbuto del vortice d’acqua resta stabile anche se la materia che compone la sua particolare conformazione, l’acqua, continua a cambiare. Questa sarebbe una struttura dissipativa elementare che nella sostanza risulta simile a quelle complesse rappresentate dagli organismi viventi. In questo modo un batterio, una pianta, una cellula, un organismo superiore, proprio grazie al processo mentale sarà in grado di cambiare di continuo tutti i suoi componenti pur mantenendo la stessa forma. Così dallo schema deriverebbe la forma e dalla mente la vita. L’assunto implicito di questa sequenza è che senza mente non ci può essere vita….
Per illustrare in qualche modo il progresso concettuale rappresentato dalla visione sistemica basta considerare la questione che ha sconcertato, da oltre un secolo, scienziati e filosofi sulla relazione tra mente e cervello. Da ricordare che il termine sistema deriva dal verbo greco synestanai che significa appunto “porre insieme”.
Il pensiero sistemico infatti consente di abbandonare la descrizione cartesiana della mente come “sostanza pensante” (res cogitans): la mente viene intesa come un processo ed il cervello come una delle strutture dissipative specifiche per mezzo delle quali agisce questo processo secondo un certo schema organizzativo. Dunque, ripetendo la mente non può più essere identificata con le strutture attraverso cui essa opera come per esempio il cervello. La mente non può più essere pensata come materia e, forse, il modo migliore è di intenderla come un “campo di influenza” che incanala la vita in un processo capace di attivare lo schema organizzativo, ossia il disegno specifico per quel determinato organismo (genoma e non solo), e di usare tutte le possibili risorse dell’ambiente per costruire continuamente le strutture che gli danno quella specifica forma.
Tenendo conto di questa modalità complessa di “mettere insieme” mente e materia qualunque intervento noi ci apprestiamo a fare non può che riguardare sempre l’intero sistema.
Dopo queste premesse possiamo, seppure brevemente, focalizzare l’attenzione sul tema del rapporto tra ottica sistemica, farmaci e psicoterapia. Credo che adesso possa essere più facile comprendere il perché l’effetto dei farmaci che agiscono sulla struttura (il cervello) e quello della psicoterapia che agisce sul processo di vita (la mente), tutto sommato, sia sovrapponibile. Ci sono oramai prove e ricerche importantissime che confermano questa ipotesi. Sto pensando alla ricerca di Bennet sui macachi riportata da Liotti sulla rivista di Terapia Familiare n. 66 – 67 /2001 di cui vorrei fare un piccolo accenno per argomentare questa tesi.
Bennet asserisce che il 5% dei piccoli di macaco nascono con un deficit del sistema serotoninergico dell’amigdala e dei lobi prefrontali dovuti alla presenza di un gene sfavorevole alla sintesi della serotonina. Questo genera un comportamento aggressivo, dipendente e autolesionistico. In pratica, nella foresta i macachi nati con questo deficit vengono abbandonati e generalmente muoiono perché non vengono accettati da altre comunità di macachi. In laboratorio, invece, fu possibile fare in modo che questi piccoli di macaco avessero cure materne ovvero una relazione qualitativamente valida a rassicurarli. Un altro gruppo di controllo, poi, con lo stesso deficit fu trattato con farmaci antidepressivi SSRI che, com’è noto, aumentano la disponibilità di serotonina proprio in quelle zone del cervello. Ebbene nel tempo tutti i piccoli di macaco sia quelli trattati in psicoterapia (si fa per dire) che quelli trattati con psicofarmaci modificavano il loro comportamento e la quantità di serotonina aumentava in entrambi i casi. Questo indubbiamente significa che agire attraverso la relazione o attraverso la chimica non cambia gli effetti, e dimostra finalmente che il soma e la psiche sono aspetti della stessa medaglia. Naturalmente né la psicoterapia, né i farmaci agiscono sul
gene sfavorevole alla sintesi della serotonina! Ma oramai molte ricerche indicano che le cure con la “parola” hanno effetti sulla materia e spero di chiarire meglio il concetto riportando un altro esempio offerto dalla ricerca di Viinamaki del 1998. Egli parla del caso di un paziente borderline. Grazie alla tomografia ad emissione di protone singolo (PET) emergeva una bassa concentrazione di serotonina nella corteccia prefrontale e nel talamo, tipico di questa forma di patologia. Il paziente fu trattato con la psicoterapia e dopo un anno in quelle aree cerebrali la concentrazione di serotonina era tornata nella norma. Altri due pazienti di controllo con la stessa forma di patologia di cui uno trattato con gli psicofarmaci avevano ottenuto gli stessi risultati e l’altro senza alcun trattamento era rimasto con gli stessi valori iniziali di serotonina. Dunque, psicoterapia e farmaci raggiungono risultati analoghi anche se, a differenza della psicoterapia, questi risultati vengono raggiunti in tempi più brevi. Il dato negativo però del trattamento farmacologico rispetto a quello psicoterapeutico è legato, da un lato, agli effetti collaterali dei farmaci e, dall’altro, al fatto che generalmente i farmaci espongono il paziente a frequenti recidive.
Prima di chiudere queste brevi note è bene precisare comunque che i due tipi di intervento, al di là dei livelli di serotonina che entrambi sono in grado di produrre, per il resto non si equivalgono ed è comunque ozioso e ridicolo fissarsi su uno rispetto all’altro: le nuove conoscenze dovrebbero aiutarci a non criticare a priori e a comprendere, invece, quando può essere utile usare uno, quando l’altro, e quando entrambi. Consapevoli che tutti i tipi di interventi hanno effetti sia terapeutici che collaterali dovremmo rinunciare all’antica contrapposizione e individuare di volta in volta i modi più appropriati di intervenire, valutando sempre costi e benefici con scienza e coscienza come dicevano i vecchi clinici. Ma questo è un altro discorso da affrontare in sede di formazione…
- Baldascini L. (2008), L’adozione consapevole, Franco Angeli Editore, Milano. - Capra F. (1997), La rete della vita. Rizzoli Editore, Milano. - Liotti G. (2001), “Interazioni fra corredo genetico, esperienza relazionale e biochimica
cerebrale: commenti ad un’indagine sperimentale”, Terapia Familiare, 66-67.
- Viinamaki H. (1998). “Change in monoamine transporter density relate to clinical recovery:
a case-control study”, Nordie Journal of Psychiatry, 52.
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